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Word Count: 2084
Author: Rebecca Caramento
Topic: Lasciare alla vita la possibilità di stupirti
Created On: 02 Mar 2025
Last Updated: 02 Mar 2025 12:04:27
22 febbraio 2025, ore 23:15 p.m
Sono seduta nel mio letto a castello, condivido la stanza con una ragazza giapponese, un ragazzo indiano e una ragazza con un accento inglese estremamente stretto, se ho capito bene arriva dall’Olanda.
Sono a Kochi, nel sud dell’India, nell’ostello più economico della città. Ho solo tre ore di sonno. Il viaggio è stato lungo e, in aeroporto a Nuova Delhi, ho rischiato di perdere il mio zaino da sette chili, tutto ciò che ho per i prossimi mesi.
Fa caldo in questa stanza, l’aria condizionata non funziona. La doccia è solo un secchio con una ciotola più piccola dentro: riempi il secchio e, con la ciotola, ti rovesci l’acqua addosso. Ho bisogno di lavarmi dopo tutte queste ore di viaggio.
Il pavimento è sporco, ma non posso entrare in camera con le ciabatte, è proibito. I miei piedi nudi, che fino a due giorni fa erano a contatto con la terra nel bosco dove parcheggio il mio van, ora poggiano su piastrelle ingiallite dal tempo e dal passaggio di altri viaggiatori come me. Chissà che emozioni hanno provato loro quando sono arrivati in India, chissà dopo quanti giorni di viaggio e paesi visitati sono passati per di qui.
Ho mangiato un boccone prima di venire qui: il cibo è piccante, troppo piccante, e io non sono abituata. Ma dovrò farci l’abitudine.
Ho provato a guardare la mappa, ma l’India è più grande di quanto pensassi. Non capisco nulla, forse sono solo stanca; dovrei guardarla domani. Continuo ad aprire Google Maps e richiuderlo. Mi mette ansia pensare di non sapere dove andare, non sapere quale sarà il mio piano per le prossime settimane. Quanto dovrò stare in questo ostello prima di capirlo?
Allora perché hai preso un volo senza programmarti nulla? Perché proprio al sud?
Perché era il volo più economico, certo.
Dici sempre che non ti piace avere piani, che non vuoi guardare prima il posto in cui atterri, che vuoi farti sorprendere giorno per giorno. Allora perché, proprio ora, senti un peso nel petto mentre guardi la mappa di questo paese così vasto, con queste città che sembrano caotiche e lontane una dall’altra?
Perché sono qui?
Vorrei teletrasportarmi a casa, vorrei essere nel mio van, con le mani che accarezzano il pelo crespo di Yuma. Vorrei addormentarmi sentendo il suo respiro. Mi manca già così tanto.
Perché sono partita? Perché sono qui?
Ho detto a tutti che sarei stata via per diversi mesi, e ora il solo pensiero di passare qui la notte non mi farà chiudere occhio.
Perché sento questo peso delle aspettative da parte degli altri? Che cosa me ne importa in fondo? Se non sto bene, torno.
Basta, ho bisogno di provare a dormire. Devo dare tempo alle mie emozioni di stabilizzarsi. Datti 10 giorni, Reby.
E, nel caso, ritorni.
Il cuscino è duro e fa caldo qui dentro.
L’ansia sarà la mia compagna di riposo questa sera. Domani è un altro giorno. Domani si vedrà.
Notte, diario.
24 febbraio 2025, ore 5:30 a.m.
Sono sul pullman, mi aspettano cinque ore e mezza di viaggio. Sto andando verso le montagne. Il pullman è senza finestrini, è ancora buio.
C’è poca gente in strada.
Il bus è pieno, siamo uno contro l’altro.
Ho sbagliato a mettermi gli unici pantaloni puliti che avevo; il sedile ha una macchia appiccicosa, deve essersi rovesciato qualcosa.
Molti sono in piedi, sono fortunata ad avere un posto a sedere.
Questo pullman avrà almeno quarant’anni, gli ammortizzatori, ormai andati, raccontano storie di lunghi viaggi per le strade del Kerala.
Le persone provano a dormire, ma ad ogni buca sbattono la testa contro la cornice in ferro dei sedili e si risvegliano.
Sento tanti odori diversi: il profumo della pelle della ragazza indiana seduta accanto a me che si mischia con l’odore acre del pesce. Stiamo passando davanti al mercato. Le signore sono sedute con il viso ancora assonnato, i loro pesci stesi su un telo sull’asfalto, e io non riesco a pensare ad altro. Vorrei scendere e sedermi con loro, sentire la loro storia.
Ho toccato, per sbaglio, con il piede la gamba del signore in piedi davanti a me. Il bus deve aver preso una buca sull’asfalto. In India, è considerato segno di mancanza di rispetto toccare le persone con i piedi. Ho messo una mano sul cuore e ho fatto un cenno con la testa, spero che perdoni il mio gesto. È più anziano di me; gli ho offerto il mio posto a sedere, ma nonostante abbia insistito, ha rifiutato con un sorriso che mi ha trasmesso pace e tranquillità.
Il sole inizia a colorare le case e a popolare le strade.
Guardo curiosa fuori dal finestrino, senza vetro, l’aria calda che entra. Mi sento nel posto giusto, non vorrei essere in nessun altro luogo se non qui.
Ripenso agli ultimi giorni a Kochi, all’amicizia che ho instaurato in poco più di 24 ore con Miki, un ragazzo indiano che gestisce la bancarella di pesce. Mi ha cucinato un pesce delizioso e mi ha fatto conoscere i suoi amici. Spero di tornare presto a trovarlo.
Non so bene dove mi fermeró, e questo mi fa star bene. Sto andando verso le montagne, avevo bisogno di natura dopo questi ultimi giorni in città.
Mancano ancora tre ore di viaggio. Poi dovrò cercare un posto dove dormire. Ora provo a riposare un po’. La ragazza si è appoggiata sulla mia spalla, non voglio svegliarla, ma forse sarà la prossima buca a farlo.
Non so perché, ma sono così felice, così curiosa. Vorrei che questo viaggio non finisse mai. Guardo le facce stanche delle persone dentro questo bus. Cosa mi rende diversa, se non il colore chiaro della mia pelle? Vorrei chiedere a ciascuno di loro la loro storia, ma non voglio disturbare. Siamo tutti molto stanchi, comunichiamo a sorrisi.
Sono felice. Ho pagato 1,70 € per questa tratta di strada. Ho ancora 8 € di budget per la giornata, spero che l’ostello che troverò costi poco.
Mi godo l’alba.
Ciao, diario.
27 febbraio 2025, ore 10:05 a.m
Dopo tre giorni, ho lasciato le montagne per andare di nuovo all’estremo sud. Ti scrivo da un tuktuk che si dirige lentamente verso la costa.
Ho conosciuto delle belle persone nell’ostello. È strano come in viaggio il tempo passi in modo diverso, come tre giorni con delle persone possano sembrare settimane. È sempre difficile salutarsi.
L'ultima sera ho incontrato un ragazzo di 19 anni. In viaggio non si chiede mai l’età, così mi aveva insegnato un ragazzo americano conosciuto in Vietnam. Mi aveva spiegato che non serve sapere l’età di qualcuno, perché in questo modo cambi il pensiero su quella persona. È solo un numero, non ha importanza.
Ha ragione. È così bello parlare ore con una persona che sta vivendo un’esperienza simile alla tua, ma con una storia completamente diversa, senza sapere neppure il suo nome o la sua età.
Ma lui ha voluto dirmelo, così ora so che è del 2006.
È un anno più grande di mia sorellina. Che strano pensare che stia viaggiando da solo in India da mesi.
Le persone che viaggiano sembrano aver preso una pozione magica.
Non gli avrei mai dato 19 anni. Sembra che tutti quelli che incontro abbiano tra i 26 e i 30 anni.
Ho visto anche l’età di Giulius. Qui, quando fai un trekking in montagna per sicurezza ti prendono tutti i dati. Li ho scritti dopo il suo, e la curiosità ha avuto la meglio su quanto mi aveva insegnato l’anno scorso il mio amico.
Ha 45 anni e ieri mi ha detto che gira il mondo da tre anni.
Gli avrei dato al massimo 28 anni.
Il viaggio sembra come un buco nero dove il tempo si ferma.
Ieri siamo andati tutti insieme in paese, c’era la festa di Shiva. Sono entrata per la mia prima volta in un tempio induista. L’energia era così forte che sono entrata, poi dopo pochi minuti sono uscita, per poi rientrare di nuovo. Sarò stata 20 minuti dentro a guardare il Baba J sistemare i fiori a gambe incrociate sopra una struttura in pietra. Ha preparato il fuoco sacro e tutti si sono messi in fila per purificarsi con la fiamma.
È segno di prosperità, da quello che ho capito.
Le strade si sono poi animate. Ragazzi della mia età suonavano energicamente tamburi, mentre le ragazze portavano in fila una candela dentro il tempio.
Abbiamo ballato e cantato fino a tardi, per poi tornare in ostello a guardare le stelle e rischiare di addormentarci tutti sul tetto, sdraiati sui materassini da yoga, cullati tra storie di viaggi e culture, ognuno con il suo accento, ognuno con le sue paure e i suoi sogni.
28 febbraio 2025, ore 20:46 p.m
Il ragazzo si chiama Manu. Si sta spostando in autostop, io non avevo piani, ma volevo andare verso l’estremo sud. Lui pure.
Abbiamo deciso di condividere un tratto di viaggio insieme.
La prima tratta verso la costa l’abbiamo fatta in tuktuk, perché nelle montagne i camion non andavano nella nostra direzione, quindi fare autostop sarebbe stato inutile.
Siamo arrivati giusto in tempo per il tramonto. C’era un’energia così potente nelle onde, quel bagno con il sole che si spegneva lentamente nell’Oceano Indiano sono sicura rimarrà impresso nella mia memoria a lungo.
Siamo stati fino a tardi sulla spiaggia, a raccontarci storie e parlare dell’India.
Il giorno dopo ci siamo svegliati presto e, dopo una colazione con pane e salsina piccante, ci siamo subito messi in strada a cercare un passaggio.
Dopo quattro ore di tentativi sotto il sole, una macchina ci ha preso, avvicinandoci di soli 20 km alla meta.
Abbiamo cercato di fermare i camion merci, ma niente. Non è molto comune fare autostop qui in India. Alcuni ci caricavano e ci portavano in stazione, da lì prendevamo i nostri zaini e tornavamo sulle strade principali ritentando speranzosi la vana ricerca di un passaggio.
Eravamo stanchi e stava diventando buio, quindi alla fine abbiamo optato per un bus economico, simile a quello che avevo preso io, ma un po' più grande, per fare gli ultimi 80 km, con poco più di 1,50 €.
Sono le 8 di sera, è già buio. Siamo lungo la costa in un paesino di cui non conosco nemmeno il nome.
Non è un posto turistico, è difficile trovare un alloggio economico qui, non ci sono ostelli.
Dopo aver girato tre posti che non ci potevano ospitare, abbiamo trovato una sorta di resort.
Sono entrata a chiedere se avessero una stanza e, già dal vialetto, avevo capito che sarebbe stato fuori dal nostro budget.
Sono entrata nell’atrio. Era tutto così pulito, e dopo tutte queste ore di viaggio mi sentivo ancora più sporca entrando lì.
C’erano dei signori, apparentemente europei, che mangiavano nell’atrio. Ho chiesto se avevano una stanza, ma soprattutto quanto costasse per una notte.
Erano italiani.
Il signore mi ha detto che avevo l’età di sua figlia e mi ha chiesto quanto avessimo di budget per notte. Gli ho spiegato che potevamo spendere al massimo 10 euro in due e che, altrimenti, avremmo dormito in spiaggia.
Mi ha sorriso e mi ha detto che potevamo restare quanto volevamo. Avevano appena aperto, e in cambio di una buona recensione, eravamo i benvenuti.
Credo di non essere mai stata in un posto di lusso come questo. Mi sento quasi a disagio qui, ma siamo contenti come bambini di aver trovato un posto dove dormire e lavarci. Siamo sporchi e stanchi, è stata una giornata lunga.
Mi brontola la pancia. Oggi l’unica cosa che abbiamo mangiato è stata la colazione piccante in compagnia dei bellissimi bambini a cui abbiamo lasciato il palloncino e un piccolo involtino fritto in olio pesante, preso alla stazione dei bus.
Sono qui nel letto, con la pancia che brontola, a sognare il mondo, mentre aspetto Manu per andare a mangiare. Stanotte non riuscirò a dormire, lo so già.
Quante cose meravigliose sono successe oggi!
Mi sembra impossibile aver fatto tutto questo in poco più di 10 ore.
Continuo a pensare alla frase di mio papà e vorrei tornare indietro nel tempo, alla prima sera, alla Reby che aveva il peso nel petto e che si sentiva spaesata, chiedendosi cosa ci facesse qui, perché si trovava proprio in India.
Penso alla frase di mio papà quando ho deciso di vivere nel van. Era venuto a trovarmi in Marocco, e davanti al fuoco, mentre gli raccontavo dei miei ultimi mesi in viaggio, mi disse: “Non sentirti arrivata, il mondo esiste.”
Ora so cosa intendeva.
Mi sento così viva, diario. Sono così felice e grata di essere qui.